venerdì 30 gennaio 2015

Adattarsi

Sono seduta sul letto. Ho spostato il comodino solitamente occupato dall'abat jour per metterci il computer. Mi spacco la schiena in due lo stesso, ma un po' meno, diciamo al 30%.
Accanto ho il mio nuovo astuccio con sopra disegnate delle volpi e la chiusura calamitata. Dentro ci sono cose al momento inutili, come graffette, foglietti e puntine da lavagnetta di sughero. Ma io penso al futuro, un po' per fuggire a quelle piccole cose che non tollero in un luogo in cui sono un po' costretta. Sto cercando appunto di adattarmi, come meglio posso senza rinunciare alla mia igiene direi isterica. Jakub mi ha comprato un mobile con dei cassettoni in stoffa, è molto carino e finalmente ho un angolo tutto mio in questa stanza. So che posso sparpagliare le mie cose in giro, ma non mi va, voglio tutto a portata di mano, almeno qui, solo così posso sentirmi a casa. Ci trasferiremo non prima di giugno, quindi se sono intelligente, e spero di sì, devo adattarmi meglio con quello che ho. I coinquilini sono un disastro, ma almeno sono simpatici.
Poi qui ho un quaderno, ovviamente con le solite due volpi che si vanno incontro ma che si guardano dietro le spalle. Non è ironico? Ci scrivo qualche volta e ho deciso di tenere il diario in inglese, almeno mi alleno. E scrivo senza pietà né scelta di parole, come se scrivessi a un amico, quello che tutti sognano.
Insomma, mi sto riempiendo di cianfrusaglie e libri, trucchi e prodotti per la pelle a poco, ma buoni, sono cose che mi coccolano, che mi fanno sentire parte del sistema, che mi fanno pensare di essere qui da molto, di avere le mie abitudini e preferenze.
Però ne ho sviluppate! In realtà. Per esempio Eugenia, ad ottobre, mi ha portato in un ristorante di ramen in Soho, costa così poco in confronto al resto dei ristoranti buoni londinesi, che quel luogo sta diventando una piccola routine. Poi c'è il panino con pollo e avocado del Pret A Manger, potrei nutrirmi solo di quello, ma a volte mi limito a guardarlo. Il caffè va rigorosamente preso in un café qui dietro casa, da fuori sembra un negozio malandato di parrucchieri, dentro ricorda un bar degli anni 50, il caffè è buono e costa solo una sterlina. Per rifugiarmi nei miei pensieri vado alla Tate Modern e ci passo minimo due ore. Fisso i tre desolati quadri di Dalì e poi me ne sto sulle scale del terzo piano a leggere, scrivere o a scroccare la wifi. Ancora stento ad aderire a un'offerta per avere internet sul telefono. Non mi va proprio, se mi vuole qualcuno mi può telefonare, ma a parte il mio fidanzato non mi vuole nessuno e il resto del mondo può attendere il mio rientro in casa, quando sarò "comodamente" seduta sul letto, in pigiama e con musica indie sdolcinata a palla.
Quando sono triste, come dice la canzone, vado verso il fiume e mi faccio a piedi tutto il Queen's Walk, specie adesso in inverno è meraviglioso, non ci sono turisti e per il resto fa troppo freddo, quindi le persone vi passano solo quando è strettamente necessario. Per piccoli istanti sembra quasi una situazione post apocalittica e ritrovo la pace perduta. Quando mi manca mia madre invece, vado al St. James's Park, perché quando sono stata la prima volta a Londra eravamo insieme e qualche volta abbiamo passeggiato lì con in mano del caffè e possibilmente un muffin al mirtillo. 
Adesso potrei far vedere a mia madre la vera Londra, perché imparo a conoscerla, perché so cosa piacerebbe a lei. Sarà bello quando mi verrà a trovare. Penso spesso a lei e ricordo le persone che dicevamo che l'attaccamento per la figura materna torna con l'età. 

E insomma. Sono nostalgica, ma è come se non mi mancasse l'Italia, è più come se... mi mancasse un pezzo di vita proprio, non importa dove. C'è qualcosa che mi butta giù, a volte c'è la solitudine difficile da sostenere, ma poi mi ricordo che presto avrò un posto in cui stare con la persona che amo, una casa in cui litigare e fare l'amore, una casa in cui creare abitudini che probabilmente cozzeranno tra di loro. Sarà bellissimo. E poi avremo un gatto che chiameremo Rey e io non dovrò più dislocare gli oggetti che compongono la mia vita in diversi punti della stanza, intervallati dagli oggetti originari di questo posto "come un vaso di terracotta costretto a viaggiare in mezzo ai vasi di ferro".

E poi, come se avessi comandato con la bacchetta magica, si stanno disegnando persone che mi fanno stare bene, sono quasi tutti di passaggio, perché Londra è un porto, ma non ha importanza. Io ci sono. Sono un po' come Amal, la donna di mare che però attende i marinai sul molo e casa sua è sempre aperta ai naufragati. Almeno per ora.
Nel frattempo visiterò qualche luogo in cui sono stata nei miei sogni, sarà come tornare a casa, ma trovare camera mia trasformata, edifici nuovi in città, negozi diversi. 


Mi sto cercando di adattare. Ci vuole pazienza. Perché io faccio le cose per bene.



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