martedì 25 dicembre 2012

Impedimenti

Nella mia lotta tra i "piuttosto che" erronei e l'impossibilità, inspiegabile, di stampare il mio primo rullino, sono ancora viva; ho passato il Natale in compagnia di Stephen King, per poco e con sotto al naso una tazza di caffè. Non mi sono sfondata e non ho fotografato il cibo prima di ingerirlo. Non è successo proprio niente che valesse la pena documentare. Ci hanno pensato gli altri e non è stato malaccio vedere il reportage dell'intero pranzo dei miei amici. 

Alcune cose possono essere negative, ma sono una sicurezza e non è poco di questi tempi. Visto che i fotografi si volatilizzano e le persone con cui professionalmente parlando mi trovo bene sono sempre meno.
In poche parole? E' una merda.

Ma non ho voglia di lamentarmi, davvero, se una persona non trova cinque minuti per mandarmi a cagare piuttosto che ignorarmi senza un apparente motivo, non vedo perché io debba dedicare righe intere del mio blog a parlarne male. L'ho appena fatto. Me ne rendo conto. E' che la gente non smette di stupirmi, in senso negativo, ma ne sono assuefatta, non riesco a farne a meno.

Allora mi concentro sulle cose positive. Per esempio, su commissione di GQ ho intervistato Emanuele Ferrari, fotografo gentile e con nel portfolio un sacco di figa. All'inizio, guardando le sue foto di sfuggita, mi sono chiesta se non fosse tutto merito di questo piccolo particolare che fa rizzare le orecchie a noi donne e qualcos'altro agli spettatori uomini. Ma credo di no. Le foto sono pulite, il concetto è chiaro e le modelle sono un sacco espressive anche in volto :)


Qui l'intervista


























Nel frattempo ho pubblicato anche qualcosa di mio puro gusto personale per C-Heads. Mari Le Bones. A cui credo di aver fatto le domande di cui veramente mi premeva sapere le risposte, ma non le ho chiesto cosa significasse per lei il suo nome. L'avevo già chiesto a Romolo, non mi piace ripetermi così palesemente. Ora però mi rode!
Che tipa. Penso che avrei potuto chiederle cose all'infinito, oppure avrei potuto domandarle la stessa cosa più e più volte e lei avrebbe sempre risposto in maniera diversa, originale, tutta sua e soprattutto sincera.
Ma la cosa che in assoluto amo di più di questa donna, dal punto di vista prettamente artistico, è il fatto che sa esattamente cosa sta facendo, magari non ha idea di dove andrà a finire, ma sa perché lo sta facendo. Non so se mi spiego.
Il mio famigerato perché nell'arte. Se fai cose a caso e funziona, probabilmente sei famoso. Altrimenti devi esaltare la tua opera con una buona dose di contenuti. E qui i contenuti non mancano.


Qui l'intervista


























Mentre sabato sono stata a Roma. Ho conosciuto persone attive e determinate e hanno tirato fuori un po' di quella mia grinta assopita. Forse a tratti questa cosa mi ha fatto sentire idiota, ma allo stesso tempo sono stata vera, quindi va bene. 
Ho avuto il piacere di fare il viaggio in treno con Deborah Parcesepe, ad averlo saputo prima avrei rimandato l'intervista per fargliela di persona, sarebbe stato strano e divertente.
Oppure è meglio così, nessun obbligo, un po' di redbull e una buona dose di umiltà. E' veramente la persona più umile che io conosca e in qualche modo sono riuscita a capire perché mi sia sempre sembrata così schiva e riservata. Un po' le invidio la capacità di lasciare quel qualcosa di sé fondamentale alle persone care. Io invece mi butto sempre senza paracadute e prendo delle musate incredibili, fino a chiudermi in maniera irreversibile. Non è sano per niente.

Ma che importa. Io cerco di apprendere da chi mi stimola, da chi mi piace, persino quando rido riconosco che non è del tutto farina del mio sacco.
Kurt Cobain diceva "I use bits and pieces of other personalities to form my own" e che ci piaccia o no, che lo troviamo incredibile o deludente, è così.




lunedì 17 dicembre 2012

Split

Mi ha sempre stupito la capacità di Trent Reznor di descrivere le proprie emozioni.
Alcuni dicono sia talento, altri non ci fanno caso.
Forse è solo propensione al raccontarsi.
Ma io credo che se una persona decide di parlare di sé, dovrebbe farlo nel migliore dei modi, per lo meno se ha rispetto della propria persona.
Per questo disprezzo i libri scritti male, come quelli della Santacroce. Non è scrittura creativa o sperimentale, è sbattersene il cazzo di anni di evoluzione linguistica e sputare sulla letteratura italiana. Possiamo chiamarla cretina anarchica, ma non scrittrice. 

Cara Isabella, se ci vuoi dire che ti piace il fisting anale (oh sì, prima di dire che la Santacroce è una merda, ho avuto il buonsenso - e il coraggio - di leggere quella merda di uno dei suoi libri), perché non ammettere semplicemente che c'è della puttana anche dentro di te, senza tirare in ballo la ormai sottile questione del disboscamento?
E guarda che se vuoi dire che ti piace scopare, come a tutti noi, per carità, devi usare la punteggiatura anche tu.

Quando sono arrivata in Italia non sapevo nemmeno far capire quando avevo fame, dicevo a malapena "ciao". Invece avevo voglia di dire chi sono e cosa valgo, così ho imparato, perché se volevo che qualcuno mi ascoltasse, che qualcuno non avesse modo di fraintendere quello che dicevo, non avevo altra scelta.

L'uso improprio del "piuttosto che" forse è la cosa che mi sconvolge meno tra le persone che cercano di comunicare con me.
Ho conosciuto un sacco di gente carina e simpatica, ma l'ho trovata per me vuota dal momento che "piuttosto che" trovare cinque minuti per leggere il significato di un termine, ne ha fatto uso casuale ed insensato almeno quanto quello di adottare la marmellata al posto della crema vaginale.

Gente, ma voi... vi ascoltate quando parlate? Come pretendete che io vi racconti un po' di me, persino tramite quelle diavolo di interviste, se nemmeno sapete cosa state dicendo voi?
Quindi, trasmettere le sensazioni, descrivere una situazione, raccontare bene qualcosa, non è talento, è santo e sacro sudore e voglio che mi sia riconosciuto. E voglio che il fatto di sapere la costruzione di una frase o l'uso corretto della punteggiatura, sia visto come una cosa normale e non come evento esclusivo al termine di questo anno di merda. Inoltre, non è eccezionale nemmeno una persona che non mette l'apostrofo all'articolo indeterminato di fronte al nome comune maschile. E vi vorrei ricordare che se dite ai vostri amici "LA Nina se la tira", state sbagliando e io non posso prendere sul serio il vostro disprezzo nei miei confronti.

Che vogliate litigare, fare una dichiarazione d'amore, esprimere un disappunto o semplicemente spettegolare sulla vostra vicina di casa e se decidete di farlo oralmente, o addirittura condividendolo con i vostri contatti su facebook (tra cui potrei essere anche io), appropinquatevi verso un dizionario e assicuratevi che state comunicando proprio quello che avevate in mente.


Mi piace Trent Reznor, perché ha sempre detto esattamente quello che intendeva, per questo l'abbiamo capito, apprezzato e ci ha aiutati a esprimere quelle sensazioni per cui non trovavamo le parole.




martedì 11 dicembre 2012

Vita tranquilla

Sembra che da tempo io sogni qualcosa di pacato, di intimo, di privato, riservato, tranquillo, pacifico, semplice, lontano, lontano da qui, per sempre.
Cosa me ne faccio? E' bello immaginare un personaggio che mi rappresenta, distante da tutto quello che conosco, da tutto quello che finora ho vissuto. 
Capita a volte di svegliarsi e di immaginare di essere nel letto di un altro stato, magari dall'altra parte dell'oceano. 
Oppure si tira il piumone fin sopra il naso immaginando sia un sacco a pelo in un bosco sloveno, dove nessuno può rompere le palle, dove non ci siano obblighi e non c'è da combattere contro persone scorrette.

E' tutta la vita che mi sposto, che non voglio quella tranquillità che tanto bramo ed è solo quando sento la pace tessere infinite combinazioni energetiche nella mia gabbia toracica che capisco che lo chalet che mi è venuto in mente ormai più di un anno fa, non ha alcun significato fuori dalla mia pelle, lontano dal mio cuore.
La mia casa sono io e come una piccola lumaca me la porto dietro, dove voglio. L'importante è lasciare il segno, sapendo di poter tornare, senza però alcuna voglia di farlo.

I posti non cambiano, siamo noi a cambiare.
Il mese scorso guardavo di sotto al burrone in Kazakistan e mi veniva da piangere all'idea che sei anni prima c'erano esattamente le stesse rocce, rossicce e imponenti. Mi pietrificavo all'idea che quel angolino di mondo restava immobile da quando lo vidi la prima volta all'età di sette anni.
Toccavo la mia terra e mi sporcavo le mani tremanti, sapendo che giù tra le montagne scorreva lo stesso fiume e in tutti questi anni non si era mai fermato, mentre avevo così tanto, ma così poco in confronto ai tempi che la Natura si concede.

Una vita tranquilla non fa per me, forse è per questo che va sempre tutto a puttane, così posso mettermi a costruire di nuovo.
La mia pace sono i ricordi, anche quelli più burrascosi. 
E' incredibile come certe difficoltà insormontabili della nostra vita diventino una nullità nella nostra testa col passare degli anni. Ma è ancor più ineffabile la sensazione che il nostro cervello trasmette ai polmoni quando ripensiamo invece a un gesto così piccolo, a un dettaglio, a un momento di quiete. Mi si contorcono tutti gli organi quando realizzo che ciò che mi compone sono proprio quelle impensabili rifiniture.


E a proposito di minuzie che fanno di me ciò che sono, ecco la mia nuova intervista. E' breve, semplice, immediata, ho voluto essere sincera e ho pensato al fatto che GQ mi permette di essere schietta e ciò mi rende felice anche in un articolo che non dice esattamente chi sono (non ho mai scattato con Corrado, non mi piace Daniele -anche se oggettivamente è una figa della madonna-), non è assolutamente il mio tipo di fotografia, ma non riesco a smettere di domandarmi come sarei io in un set del genere e cosa un fotografo del genere tirerebbe fuori da me (oltre alle tette, naturalmente).
Ho quindi racchiuso in queste poche domande quelle che sono le mie curiosità e forse questa volta ho detto di me, in maniera del tutto indiretta e meno palpabile, molto più di quello che potrei rivelare attraverso le foto che amo di più.



Qui l'intervista a Corrado Dalcò


























domenica 2 dicembre 2012

Zona di conforto

Adoro stare qui nel cuore della notte, ascoltare il mio gatto russare e selezionare della buona musica.
Quando lo faccio e quando ci penso provo immenso piacere, proprio fisico.
Quando lo metto per iscritto realizzo sia una merda e che non interessi a nessuno. Non rendo noto questo mio pensiero nella patetica speranza che qualcuno dica "hey ma no, lo faccio anche io ed è uno sballo". Lo dico perché lo penso e perché a me, per prima, di cosa scrive la maggior parte della gente non interessa minimamente.
Però, come a ogni scrittore di qualche tipo, mi interessa se la gente legge quello che scrivo io.

Percorrevo le "10 ragioni per cui una sceneggiatura fa schifo", di Karina Wilson e riga dopo riga la mia stima cresceva per questa donna che legge dai quattrocento ai cinquecento manoscritti (per modo di dire) all'anno e ne scarta novantanove su cento. 
La stima è pressoché uguale a quella che provo per tutti coloro che dicono la verità, nella vita e nella politica (che scindo dalle esperienze di noi comuni mortali). 

Forse stiamo soffrendo nella vita, abbiamo subito abusi di ogni tipo da piccoli, la nostra dolce metà ci sta dando dell'egoista per sbatterci la porta in faccia nei seguenti cinque minuti della nostra esistenza, oppure stiamo vivendo un'esperienza extra corporea extra coniugale extra lusso. Non importa un cazzo a nessuno, perché in prima persona è tutto di più. E mi piace il fatto che qualcuno abbia il coraggio di dirlo. Non è solo questa Karina che probabilmente non ha problemi ad arrivare alla fine del mese, lo fanno in tanti e nei modi più incredibili. 
Avete mai fatto un giro su VICE? E' pieno di merda, ma è merda scritta bene, che piace, che appassiona o che disgusta, non importa, suscita interesse e tira fuori le nostre emozioni. Qualcuno rimane spesso e volentieri indignato, quando nel proprio intimo prova esattamente quelle cose, ha vissuto forse esperienze più imbarazzanti, ma non ha il coraggio di ammetterlo e di essere solidale, pur nella maniera comica, con gli altri.

Comunque.
Se si vuole scrivere, bisogna sapere romanzare, il che non significa dire una bugia, ma significa rendere la propria creazione esteticamente accettabile se non addirittura accattivante per i fruitori. Lasciamo perdere la scrittura. Dovete farlo anche se volete far ridere i vostri amici durante una cena. 

Non è solo questione di lasciare la propria zona di conforto, di allontanarsi da quello che si è e di affrontare i propri pensieri come se questi non vi appartenessero, non è inventare una storia fantastica e non è parlare di qualcuno che osserviamo da lontano, non è mettersi a nudo tirando fuori i pensieri più imbarazzanti che attanagliano in realtà la mente di tutti noi. Non è SOLO questo. Sapete cos'è? E' fare tutto ciò con stile. Il proprio stile.

Non scriverò mai una sceneggiatura, né mi interessa. Ma scrivo interviste e mi sono già rotta le palle della struttura che ho assunto. Diciamoci la verità. Le mie interviste funzionano e piacciono. Piacciono ai lettori e, soprattutto, piacciono agli intervistati.
Tutto questo è perché li prendo per mano e li porto a sedersi nella poltrona più comoda, do loro una tazza di cioccolata calda e quasi li chiedo di cosa vorrebbero parlare. Passo ore a guardarmi le loro foto prima di sapere cosa domandare, così da esaltarli, da chiedere le cose giuste e "comode".
Non sto dicendo che sto sbagliando, sto dicendo che mi sono adagiata sugli allori e sto continuando a fare una cosa che so per certo che funzioni, ma che non mi soddisfa più dal punto di vista artistico, o come essere umano che ha prospettive per la vita diverse da quelle che sembrano disegnarsi attualmente.

Fino a questo momento ho avuto paura di qualcosa, la vocina di John Shooter (sì, ho finito un altro libro di King e ne comincerò un altro benché sia mainstream, benché sia limitativo concentrarsi così a lungo su un autore solo) però prorompeva con fragore dal fondo dello stomaco, dicendomi di fare qualcosa di più, di abbandonare la mia zona di conforto, di rischiare tutto per la mia profana passione per la scrittura. E mi suggeriva, con più dolcezza e con una vena di furbizia nella voce, di farlo senza abbandonare il mio stile, se mai ne avessi uno.
Voglio crescere, migliorare, diventare scomoda per coloro che non siano disposti a rischiare qualcosa per la fotografia (finché di fotografia scriverò). Voglio che le mie domande non solo siano diverse da tutte quelle che i giornalisti solitamente pongono agli intervistati, ma che scavino anche un po' più a fondo. Non ho più paura di mettere a disagio, di provocare, di risultare inopportuna; non ho più paura di niente di tutto questo, perché se gli altri si dovessero spaventare vuol dire che la loro arte non è abbastanza solida e che forse dovrebbero lasciare spazio a chi ci sa fare.

Mal che vada posso sempre scappare nel deserto e dormire in fondo al burrone di fianco ad uno sciacallo, sotto vento.


Prima di concludere, lascio il link al mio ultimo articolo per GQ Italia. Ho avuto il piacere di intervistare nuovamente una modella. Una persona e una professionista molto, molto diversa da me e avrei voluto domandarle così tante cose... così tante e così imbarazzanti. E invece le ho portato le pantofole di fronte la poltrona :)
Sono soddisfatta, ma è ora di cambiare, di muoversi nuovamente e non avendo una situazione economica che mi permetta di farlo fisicamente, posso affidarmi ai miei mondi più che reali all'interno di queste creazioni pseudo giornalistiche.



qui intervista a Deborah Parcesepe

Ah, non mi occupo io dei titoli su GQ, né dell'introduzione. Forse dovrei! (Comincio da subito a mettermi in situazioni scomode).
Come se il fatto che Deborah amasse la scrittura o sapesse citare qualcosa che non fosse la strofa di Paparazzi di Lady Gaga, fosse un fatto eccezionale nel mondo della moda, quando in realtà di modelle più che in gamba ne è pieno là fuori, ma ai media piace raccontare di quella volta che un essere umano ha scazzato nella propria vita e ha avuto la pessima idea di provare a nascondere le prove della propria figura di merda.



























mercoledì 21 novembre 2012

Cosmo

L'ultima volta che ho scritto qui sopra, è stato quando ancora ero in un altro continente, in un altro mondo, oserei direi. 
Avevo, oltretutto, sperimentato la mia prima lezione di improvvisazione teatrale. Uno degli esercizi consisteva nel contare fino a tre e nel girarsi di scatto verso il pubblico, in quel momento l'insegnante pronunciava una parola, qualsiasi, che poi io, attrice, dovevo improvvisare.
La mia parola è stata cosmo. Ancora non sapevo dosare le emozioni sul palco e non sapevo che cosa fosse un attore psicologico. Avevo una mente prettamente cinematografica, in cui con effetti, espressioni ed ambientazione si potesse creare qualsiasi tipo di atmosfera. Quando improvvisi a teatro non hai niente, solo te e non puoi giocare ruoli introspettivi di cui non sai spiegare lo stato d'animo attraverso un gesto, di cui non sai ricreare l'ambiente con la mimica.

Sul palco sei nudo. La tua protezione è il tuo partner che sa rispondere ai tuoi stimoli. Se sei solo, devi conoscerti bene.

Ero nel cosmo e non respiravo. Sono sicura che l'effetto della prima boccata di ossigeno, dopo aver azionato delle manopole, abbia reso! Il problema è che non sapevo come andare avanti, come sviluppare il mio personaggio, come arrivare al fulcro della situazione, come concludere la scena. Non sapevo niente. Ma respiravo. Mio dio se respiravo, quasi mi facevano male i polmoni, lo sentivo. Non ero io, era il mio personaggio che viveva attraverso me ed era bellissimo.
Adesso ho imparato a trasmettere quella bellezza allo spettatore, ma la strada è ancora in salita.

Lo vedo. Lo so che ho da crescere, come attrice. Devo crescere come attrice perché mi manca ancora tanta di quell'esperienza umana! Come posso spiegare a chi guarda, la sensazione di assenza di ossigeno se nella mia vita non ho mai smesso di respirare?

A volte però... non respirare o non riuscire a parlare è pressoché lo stesso. Lo percepisco sottile, soprattutto quando devo dire cose importanti, sincere, quando devo dosare le parole, quando il mio tatto preferisce martoriarmi piuttosto che ferire coloro che amo.

Stasera D. mi abbracciava, ero semi-sdraiata su di lui in un posto pubblico. Me ne stavo lì, col naso puntato nei vestiti di cui ormai conosco bene l'odore. Mi sentivo a casa. Mi sarebbe bastato guardarlo e dirgli: casa; lui avrebbe capito! Ma è stato come se avessi dimenticato di come si respiri. E' stato come se la parola "casa" non avesse mai fatto parte del mio vocabolario. Perché? Non sono forse un'attrice che ha imparato a spiegare al pubblico, con gesti e sguardi soltanto, una sensazione intima?

Poi mi sono ricordata, mentre D. mi tirava giù la maglia che mi stava probabilmente scoprendo la schiena, che la vita non è un palcoscenico, è tutto molto più complesso e le parole hanno un peso e a volte sono fondamentali, vanno pronunciate, vanno teatralmente e paradossalmente esasperate. Avrei voluto dire che ho trovato quel suo gesto carino, premuroso, che mi ha procurato calore in tutto il corpo e che solo le sue mani hanno diritto a compiere quelle piccole mosse, ma è come se avessi lasciato la visuale a qualcuno di esterno, qualcuno che avrebbe visto la mia espressione e avrebbe capito tutto.
N o n  è  c o s ì ! Nina, non è così. 
Nina parla. Nina ricordati di come si respiri. Respira e porta a termine quello che hai cominciato. Hai lottato a lungo per riprenderti il diritto di parlare, di farti valere e soprattutto di far valere il tuo amore. Il tuo amore vale, vale più di qualsiasi altra cosa e prende forma "anche" a parole, quindi soprattutto respirando, riempiendo i polmoni e ricordandoti che sei un essere coraggioso e aggressivo e passionale.

In amore sei nudo. La tua protezione è il tuo partner che sa rispondere ai tuoi stimoli. Se sei solo, sei fottuto.

Qualsiasi cosa sia, è complicità e non la distribuiscono in campioni gratuiti la domenica all'Ipercoop. La complicità è una cosa per cui si combatte, a volte anche tutta la vita e a volte bisogna lavorare duramente su se stessi prima di aspettarsi qualcosa dagli altri.





mercoledì 14 novembre 2012

Creare e goderne

Questo posto è per me una continua fonte d'ispirazione!
Ho sempre voglia di fare qualcosa, di cantare, di studiare il mio personaggio, di scrivere. Tengo gli occhi spalancati senza la paura che nei meandri più nascosti di questa esistenza ci possa essere troppa polvere e poca luce.

L'altro ieri mi sono presa un tè con il mio insegnante di teatro, fuori pioveva e nell'aria c'era la solita vecchia canzone francese senza sosta. Sostanzialmente mi interessava poco quello che mi succedeva intorno, il che è strano, visto che mi incanto sempre ad osservare la gente. 
L'ho invidiato per un attimo. Ha la mia età, per la precisione è più vecchio di me di tre mesi ed è del 1988. Vive un po' in Kazakistan, un po' in Francia, anche se non torna in Europa da parecchio. Ha uno studio teatrale, è chiamato a un sacco di casting ed è rispettato per le sue qualità e non perché ha raggiunto l'età per cui uno si debba considerare rispettabile.
O forse è solo ambizioso, forte e percorre questo processo creativo e difficile senza porsi i soliti limiti sociali che appioppano a noi giovani.
Mi ha dato una botta di vita, ho di nuovo creduto in me e ho pensato che se non riesco a fare la commessa, o la cameriera o se ogni mio colloquio va a merda è perché devo scavare nelle piccole cose che ho cominciato, in ambito artistico, e portarle finalmente a un livello superiore. Non devo lamentarmi, ci sarà sempre qualcuno pronto a gettarmi merda addosso, non devo ascoltare i cliché che impongono ai migliori artisti di ogni nazione a patire la fame. Devo stringere i denti e pormi delle priorità nel canto, nella recitazione e nella scrittura. Nessuno mi vieta di portare avanti più cose, non è vero che si può fare bene solo una cosa, bisogna migliorarsi in tutto quello che riesce bene, poi forse... un giorno si disegnerà una via soltanto e non resterà che percorrerla.

Non ho incluso il mio lavoro di modella, benché è quello che fino ad ora mi ha portato più risultati, soldi e soddisfazioni su più stadi. 
Chissà perché. Forse semplicemente il mio spirito mi suggerisce che è arrivato il momento di maturare, di accrescere la mente e la fotografia di fronte all'obiettivo non mi permette più di farlo. Potrebbe essere un mio limite reale, potrei essermelo inventato, ma sta di fatto che sono stanca di essere scelta per il mio aspetto fisico (vabbè, mettiamo pure una determinata espressività, ma sempre di esteriorità si tratta), voglio andare avanti con le mani e con gli occhi, senza necessariamente essere prima vista da qualcuno.
E se proprio voglio esprimermi apertamente, mente e corpo, potrò portare avanti la recitazione.


Sabato sarò di nuovo in Italia, senza alcuna voglia di fare prima la valigia, di farmi 12 ore di volo (di cui almeno 6 saranno di pianto e strazio) e di salutare i miei nuovi amici, di dire addio, almeno per un po', a un popolo caldo e curioso.


Ah! Ultima cosa. T. anni fa mi ha scritto che l'innamoramento è quella cosa che va allenata, ricordate? Così può diventare una peculiarità del carattere.
Ho nuovamente avuto una profonda prova del fatto che quella cosa fa parte del mio carattere e resterà un fattore fondamentale nella mia vita.
La mia priorità è l'amore. L'amore in tutte le sue forme... persone, arte, non importa, tutto! Sono fortemente convinta che sia la forza sessuale (non il sesso, ma l'energia in sé) a guidare ogni azione umana.

p.s. l'albero di fronte alla casa in cui vivo era pieno di vita appena sono arrivata, diversi giorni fa ha definitivamente perso tutte le foglie inondando il cortile di colori caldi; adesso è coperto di neve e luccica quando il sole fa capolino da questo lato dell'edificio.

Mi mancava vedere un vero e proprio ciclo vitale.


mercoledì 7 novembre 2012

Un velo

Si è presentata alla stazione con una decina di lecca-lecca nello zaino, mi ha colpito con la sua bellezza e la sua voce profonda. 
Abbiamo camminato fino alla mia vecchia casa fiorentina e io nemmeno sono riuscita a spiccicare parola. La guardavo e pensavo che a volte la Natura è proprio incredibile, crea persone a sua immagine e somiglianza, nel senso che ciò che crea, fa in modo che la cosa creata possa creare (scusate l'assonanza). E Janine crea. Dio mio se crea.
E' bella da guardare ed è bello tutto ciò su cui mette mano. Sono affascinata dalla sua figura in maniera quasi stupida, persino ora che la conosco un po' meglio. E' magnetica e talvolta nemmeno se ne rende conto!

Non mi toglierò mai dalla testa il suo volto semi-nascosto dalla macchina fotografica avvolta in maniera bizzarra da un velo, per creare degli effetti interessanti. Che tipa!

Le sue foto sono... Beh, se volete sapere cosa ne penso nel senso più sincero ed artistico, leggere la mia intervista per C-Heads! 
E' il mio terzo articolo per loro e ancora tremo come una foglia in Autunno. Mi hanno persino creato un archivio raccogliendo le mie piccole creature, mentre se si arriva al mio profilo dalle tag ci sono anche gli editoriali in cui appaio come modella. E' un onore ed è un posto che mi sono guadagnata, so di meritarlo e so che è solo un piccolo passo verso qualcosa di più grande, ancora non so cosa, ma sono felice e ce l'ho fatta, da sola; anche se ancora non smetto di ringraziare Timo per avermi aiutato con la traduzione impeccabile per l'articolo su Nicola Casini! Meno male che ci sono anche gli amici, oltre al coraggio.


CLICCARE QUI PER L'INTERVISTA


























Praticamente il giorno seguente le editrici di C-Heads hanno pubblicato l'editoriale di Gabriele Cappello! Sono una serie di foto che abbiamo fatto pochi mesi fa e a dire il vero le abbiamo fatte per il piacere della fotografia in sé, non c'erano pubblicazioni per la testa. E invece!!!


CLICCARE QUI PER L'EDITORIALE


martedì 6 novembre 2012

Improvvisazione

Ieri mattina facendo gli addominali, mi sono resa conto di star contando in russo. 
Dopo pochi giorni qui il mio cervello si è sintonizzato su una lingua che non sentivo più mia. Probabilmente se non lavorassi agli articoli, se non mi sentissi con i miei amici e non parlassi con D., dimenticherei dell'esistenza dell'italiano. Parlare le lingue è come andare in bicicletta, credo.
Adesso penso in russo, quando me ne accorgo ci rimango un po', non credevo sarebbe mai accaduto. 
Forse ho ancora un po' di freni con la gente, ma tutto sembra aiutarmi a sciogliermi. Si comportano più o meno come gli italiani, hanno solo un po' di abitudini diverse. Sapete la cosa più bella? Non hanno paura di sorprendersi, di esclamare, di dire che qualcosa è bello, che qualcosa è piaciuto, che qualcuno è bravo. Non dico che non ci sia invidia, ma è tutto meno radicato di come sono abituata io. 
Se posto un bel photoset, ci sarà un'amica invidiosa dal sorriso falso, o ci sarà una modella a sputtanarmi alle spalle. Se qui dico di aver fatto un qualche tipo di progresso, mi fanno mille domande, sono interessati, vogliono imparare. 

Questo mi mancherà.

Comunque, non è di questo che volevo parlare, anche perché è ancora un pensiero grezzo, sto ancora osservando e anche io a mia volta devo capire molto.
Ieri sono andata al corso di teatro d'improvvisazione con la mia sorellastra. Il corso è tenuto da due ragazzi giovani, di cui uno francese che parla russo impeccabilmente. Hanno fatto partecipare anche me. Non è stato tipo "hey ti va?", è stato "vai in scena".
E a tutti andava bene, nessuno ha bisbigliato, nessuno mi ha guardato storto.
Ci sarebbero tante cose da dire, abbiamo fatto talmente tanti esercizi! Sia fisici, che mentali, soprattutto mentali. Ogni movimento era collegato a un tipo di stato d'animo. 
Sono stata fuoco, ghiaccio, fumo, sono stata acqua che filtrava attraverso la terra, ho urlato, ho toccato delle persone, ho guardato negli occhi gente sconosciuta e ho visto l'energia, l'ho tenuta nelle mie mani. C'era questo esercizio incredibile in cui stavamo in cerchio e gettavamo l'energia, urlando ZAP, alla nostra destra o alla nostra sinistra, quando cambiavamo giro urlavamo ZIP, quando decidevamo di gettare l'energia attraverso il cerchio urlavamo WAP. O qualcosa del genere. E l'energia cresceva, cresceva e la mani si scaldavano e se qualcuno faceva gesti meno forti e pronunciava queste strane parole a voce bassa, tutti sentivano l'energia cadere, diminuire.
Ci sono stati altri esercizi simili e visti da fuori probabilmente siamo sembrati un po' idioti, ma a noi importava poco e non ci giudicavamo. E' una tale liberazione poter agire come un cretino, liberarsi e non solo non vergognarsi di quello che si sta facendo, ma essere puniti se non si è abbastanza energici nel farlo.

Gli ultimi due esercizi consistevano nell'improvvisazione pura. Ciascuno di noi, uno per volta, andava verso il muro, con le spalle rivolte verso il pubblico (noi) e all'1-2-3 dell'insegnante doveva girarsi di scatto con un salto e cominciare a improvvisare la parola che veniva pronunciata da uno di noi o dall'insegnante stesso.
Per esempio eccomi rivolta al muro, sento gridare "uno, due, tre, COSMO", mi volto di scatto e recito la prima cosa che mi viene in mente. Mi sono trovata in una navicella spaziale, senza aria e dovevo trovare il comando generale per rialzare la pressione o qualcosa del genere, non ne ho idea, non avevo tempo di pensare e mentre stavo facendo tutto questo, davanti a tutti, mi venivano poste delle domande: chi sei? dove sei? che cosa fai? perché lo fai? cosa ti impedisce di farlo?
E io dovevo continuare a recitare senza fermarmi e senza guardare gli insegnanti e queste domande dovevano aiutarmi a costruire il mio personaggio e la mia situazione, renderla chiara a me stessa e dare un senso a ciò che stavo facendo perché al pubblico piacesse, o per lo meno interessasse.
Alla fine ci è stata l'improvvisazione collettiva invece, ovvero eravamo tutti rivolti al muro e saltavamo al tre verso il pubblico (inesistente) e cominciavamo a recitare la parola pronunciata. Non potevamo toccarci tra noi, ma interagire sì.

Ragazzi voi NON AVETE IDEA di quanto sia difficile. Non fermarsi mai, agire d'istinto e allo stesso tempo rendersi conto di quello che si è. Non avere paura, non imbarazzarsi! 
Alcune ragazze hanno interpretato l'ortica, uno scarafaggio, un attore ha scalato il collo di una giraffa (è stato incredibile, ci abbiamo creduto tutti, c'era questo ragazzo che mimava ogni suo gesto e noi vedevamo una cazzo di giraffa e quando gli si domandava perché lo facesse e lui rispondeva "ho fatto una scommessa con mia madre" scoppiava un boato). Una ragazza si è fatta la dose di ero nella lingua perché non aveva più buchi sulle braccia o gambe, un'altra tipa ha cercato una pera per almeno cinque minuti (che nell'ambito cinematografico o teatrale non sono pochi), uno un po' sovrappeso ha dovuto ballare la danza classica.

Insomma, ognuno doveva superare i complessi ed avere un'idea chiara, in pochi secondi, di quello che stava facendo. Assurdo. Ma esiste qualcosa del genere in Italia? Io ci vado, non mi sono mai sentita così libera. Qui sono 150$ al mese :D


Per il resto che dire.
Sballo con la mia sorellastra, è forte! E' piena di blocchi mentali di cui si rende benissimo conto, ma che ancora non sa come superare, ma è incredibilmente creativa, mi ha regalato dei fiori fatti a mano, in pelle, non ho mai visto una cosa così figa. Poi balla, balla da dio e va in discoteca per ballare, non gliene frega un cazzo di tutto il resto. Mi ha ricordato di quando facevo esattamente come lei, avevo gli stessi complessi, i soliti problemi, le paure, tutto, ma quando ballavo il mondo spariva. Spero di aver mantenuto ancora un minimo di quella purezza.
E poi disegna! Disegna da dio e ha delle idee folli! Avrà credo preso da sua madre, la quale cuce ed è un po' folle anche lei e ci vado d'accordo, avevo paura sarebbe stato un disastro e invece ci facciamo delle grosse risate, naturalmente bevendo tè.

Non sono andava invece in montagna, perché domenica è venuto giù il cielo e Charin sarebbe stato impraticabile, nonché pericoloso... Ma se tutto va bene ci vado domani! E farò un saaaacco di foto e continuerò a sputtanare la mia prima pellicola. Dio, chissà cosa verrà fuori... 
Se invece siete curiosi di vedere com'è la città, vi ho già detto che le mie foto fanno cagare e che non me ne frega, potete andare >>>qui<<<. Se siete iscritti a fb è visibile a tutti. Ah, non accetto amicizie, per principio. Non me ne vogliate, tengo nei contatti solo familiari e amici STRETTISSIMI.


sabato 3 novembre 2012

I ganci nei bagni

Sono circa quattro giorni che sono qua. Mi sento meno strana e più a mio agio, anche se ancora mi guardano storto perché fumo il tabacco sfuso. Perché se in Almaty ti vedono farti una sigaretta da solo, indubbiamente stai facendo altro. E' così e cercheranno pure di annusarti. Ma i russi, i kazaki quel che cazzo sono, siamo, sono, siamo aperti.
Se prima sono allibiti, poco dopo sono accanto a te che imparano a farsi la sigaretta e se la fumano e ti diranno pure che il tabacco ha un sapore a differenza delle sigarette industriali.

Nessuno qui ascolta il tipo di musica che scriviamo io e il Boniz, ma ho fatto sentire Jealousy a un po' di persone, soprattutto musicisti, e sono rimasti a bocca aperta. All'inizio non hanno capito, ma hanno comunque realizzato la qualità del prodotto, la bellezza dei suoni e probabilmente poco dopo si sono andati a documentare sul genere.

Qui la gente ride un sacco e se a primo impatto nessuno sembra capire il sarcasmo, in realtà è perché stanno prendendo in giro te. Sono persone intelligenti e colgono l'attimo in ogni cosa che fanno. Sono profondi, si vede nello sguardo e anche se i giovani fanno bene o male quallo che ogni giovane fa in Italia, sono abituati a scavare dentro di sé un po' di più; fa paura, fa male, ma è necessario per un bene superiore, per non cadere nell'apatia.

Ieri sono andata in discoteca. Ci sono rimasta. Le mie amiche non ne possono più, dicono che è sempre la solita solfa, mentre per me il posto era incredibile, così carino e i tavolini ovunque gratis e tutto il primo piano adibito ai fumatori e la gente che balla davvero, che sente il ritmo e che può essere impacciata quanto vuoi ma non andrà mai fuori tempo.
E i cocktail buoni e i gancini per le borse nei bagni e il guardaroba gratuito e la musica commerciale, ma non orrenda quanto nella maggior parte delle discoteche europee. Mixaggi buoni, persone vestite con gusto e ragazze che non ti guardano male, ma ti fanno i complimenti (dopo qualche bicchierino, perché sono timide).
I ragazzi sono distanti, ma guardano, si vede che scrutano, che cercano, ma si avvicinano sempre rispettosamente, salvo qualche cafone che non ci risparmia nessun paese.

Qui non ti chiedono il numero, ti chiedono se sei sposata. Sì, questo è allucinante, ma basta sparare che hai tre figli e non ti rompono il cazzo.
Qui sposarsi e avere i figli presto è la norma, penso sia un fattore sociale, un'abitudine, una cosa radicata, ma che avviene in maniera felice e naturale, almeno nella maggior parte dei casi.

Ovunque tu vada, qualsiasi casa tu visiti, che sia di amici o conoscenti, ti offriranno il tè o il caffè, più il tè. E qui posso dire noi. Noi beviamo il tè a tutte le ore e anche durante i pasti, è una cosa desertica, tipica, d'estate fa sudare e raffredda, d''inverno scalda. Il tè è prettamente sociale, socievole, tutto ha un senso e i silenzi imbarazzanti vengono occupati dai sapori più disparati. 
Anche se passi cinque minuti soltanto per un affare, devi farti versare il tè, sennò sei rude.

In questa grande città gli orari non esistono.
Tutti mangiano quando hanno fame, la famiglia si ritrova quando capita, quando prende bene, se non succede nessuno si offende, ma mangia e se ha voglia cucina anche per gli altri che mangeranno quando avranno voglia.
Di notte puoi andarti a comprare lo zucchero, o lo shampoo, qualsiasi altra cosa che solitamente trovi di giorno.
Non fa proprio al caso mio perché sono leggermentissimamente fuori città, in dieci minuti di macchina raggiungo la via principale e se ho fortuna e non trovo traffico sono in centro in un baleno. Ma comunque è rassicurante sapere che se ti seghi un dito puoi semplicemente andare in farmacia, piuttosto che fare la coda al pronto soccorso.

Due sere fa sono stata al Shakespeare, un pub molto british style, coi camerieri inglesi (indiani che parlavano inglese) e un sacco di signori vestiti in modo singolare. La musica era buona e il sistema di aspirazione permetteva di fumare all'interno. Che goduria. Poi buffo, io e altri bevevamo cocktail, birra, ma intorno potevi trovare qualcuno che mangiava (all'1 di notte) o che beveva un tè caldo. Really International Dunno Style. Scherzo. Ma è stato divertente, è stato bello scoprire che certi locali creino più situazioni per accogliere tutte le richieste della clientela.

Poi ho fatto una cosa che sognavo da anni e che di recente ho visto fare in Quei Bravi Ragazzi di Scorsese: attraversare la cucina di un locale. Io e Vlada siamo andate in un Grand Hotel Nomeacaso perché una sua amica canta nel piano bar/club lì dentro. Così poi siamo state nella sua stanza a ridere per ore, è stato incredibile! Questa lavora nell'albergo e la sera può dormire lì, ha una stanza tutta sua che può utilizzare come meglio crede. 
Per uscire siamo passate dalle cucine. Cazzo, non so in quanti possano capirmi, ma è stata un'emozione, più o meno come tornare a casa in taxi con il flute di champagne in mano (un altro ricordo indimenticabile, in cui ho un po' alzato il gomito dopo un party post sfilata di stocazzo e sono semplicemente uscita col flute in mano e sono salita in taxi).


Il clima è secco e comincia a fare davvero freddo, l'escursione termina è pazzesca, ma di notte in ogni caso è molto più sopportabile che in Italia, perché non c'è umidità e in qualche modo te la cavi. MA fortunatamente non c'è ancora la neve. Sono super attrezzati, in caso, ma aridità o umidità, la neve è la neve.

Domani vado nel deserto, poi proseguo per Charin. Un canyon che prende il nome da un fiume, sono decenni che non ci vado e mi chiama, mi chiama... Il vento ulula e io so di appartenere a questa terra, voglio toccarla, annusarla, sporcarmici e voglio impegnare bene il mio primissimo rullino. Questa macchina fotografica è amore puro, già la amo, ci tengo, è speciale. E' pesantina, ma averla appresso è come tenere per mano un fidanzato, lo senti, ma non ci pensi.


Insomma, mi piace stare qui e anche se ancora non vado d'accordo col cane di mio padre (googlate "alabai" e studiatevi la razza, poi capirete). E' un cazzo di orso antipatico. Ha un muso meraviglioso, viene voglia di strizzarlo, ma questo mi ringhia, ancora non si fida e sente che ho un po' paura, quindi fa il ganzo, no? Fanculo.

Potrei parlare per ore di questo posto, ma sono stanca e comincerei a raccontare cose a caso. Meglio di tutto un poco, per ora. Vorrei ancora parlare del mercato e di come funzionano i negozi, i supermercati, di come si comportano tra loro i fidanzati, di che effetto incredibile fa l'acqua di qui sulla mia pelle (mai avuta una pelle così liscia e morbida), di come viene cucinata la carne, di quanto sono meravigliosi i parchi e di quanto siano larghe le strade. Ma con calma, poi, forse, domani mi tuffo in un ricordo molto lontano e ho finito le parole.


Mi manca ancora D.
A tratti prende malissimo, ma non perché non sono lì e nemmeno perché lui non è qui, anche se credo alcune cose potrebbero proprio sballarlo e mi dispiace non possa vederle con i suoi occhi; prende malissimo perché ho voglia di parlare per ore e lui non è qui e posso dire solo a lui determinate cose. Credo.






mercoledì 31 ottobre 2012

Almaty

Sono qui seduta con le finestre spalancate, fuori è freddo e dei kazaki fanno baldoria nella casa di fronte. Non è granché, ascoltano proprio roba di merda.

Sono qui in un altro continente che non ho più il cuore di chiamare casa, l'Italia non mi manca, oh se non mi manca, ma qui non mi sento del tutto a mio agio, forse è ancora presto. La città è bella, grandissima, piena di bei palazzi, di farmacie giganti dove ti vendono anche le calze e di ipermercati che hanno una sezione intera solo per i dentifrici.
All'interno vi puoi bere la birra o comprare del pesce secco in dei pacchetti che ricordano le caramelle. Nel centro commerciale trovi il cinema, la pista da pattinaggio sul ghiaccio e l'internet point aperto 24 ore su 24.
Le strade sono larghe e il traffico nel pomeriggio è inaffrontabile, i parchi sono molteplici e i mercati sono convenienti, il parcheggio si trova senza problemi e ai semafori c'è il conto alla rovescia per il verde.

Ma sto leggermente fuori dal caos e di fronte a me c'è un'antenna di un centinaio di metri grazie alla quale mezzo Kazakistan può guardare la televisione.
Nel cortile c'è un cane prettamente asiatico, dicono fuori non si trovi facilmente, viene esportato ed è una razza creata per uccidere chiunque cerchi di violare il tuo domicilio.
Oggi ho provato a dargli da mangiare e ha cercato di impossessarsi anche della ciotola, ha la testa grande quanto tre mie e se si alza sulle zampe posteriori è più alto di D.
Prendo come esempio D. perché mi manca, è l'unica cosa a mancarmi dell'Italia e direi che è una bella sensazione. Tra qualche giorno sarà peggio, starò più a mio agio qui e odierò di più l'Italia e vorrò invece avere lui vicino, più vicino.
Ogni livido sarà perdonato.

Domani io e mio padre andiamo a prendere la Zenit, una vecchia reflex analogica che lui aveva regalato a una tipa, oggi l'ha sentita dopo anni e ha scoperto che la macchina non le serve, che funziona ancora senza problemi e che giusto due giorni fa l'ha trovata in cantina (da tagliarle le manine) e ha pensato che forse sarebbe stato il caso di renderla al proprietario originale. Le coincidenze.
Voglio affrontare la fotografia a pellicola, voglio pochi scatti a disposizione, l'attesa dello sviluppo e la MIA totale dipendenza della riuscita della foto. Non mi dilungherò negli effetti che una macchina del genere produce, rispetto a una ricostruzione dei colori digitale, ma senz'altro li preferisco.

Tra qualche giorno incido un paio di pezzi nello studio di papà, dove poi dormo in realtà, ha deciso di rincularmi quassù da sola perché mi conosce e perché sa che non tocco la sua roba.
Sono eccitata all'idea, perché i pezzi sono blues e io non canto seriamente blues da anni. E mio padre è un musicista incredibile, non voglio né posso deluderlo e mi emoziona ogni volta che mi prendo un "brava", vuol dire che me lo merito davvero.

Dovrei finire di lavorare a un paio di interviste, ma posso solo attendere, ho fatto, per il momento, tutto quello che dipendeva da me. Saranno due bei articoli, significativi per me su più fronti. E poi le fotografe/modelle (fanno degli autoscatti della madonna) sono con un cervello così e quando incontro donne del genere mi attivo subito, ho bisogno di persone stimolanti, perché maturo, faccio cose migliori e ho un confronto puro con il mio stesso sesso. Succede di rado.

Non so, volevo scrivere un sacco di cose, ma i pensieri si sono accavallati e ho in testa dei pesci che nuotano in un acquario del supermercato con sopra appesi i prezzi al kg.

Quante cose da fare in due settimane, quante da raccontare, ma poi penso che forse le foto sono più esplicative, anche se queste fanno piuttosto cagare, scattate proprio da turista, non avevo voglia di perdermi, volevo essere istintiva e documentare e poi la mia dgt fa cagare, è limitatissima. Quando non ho il totale controllo sulla luce che voglio catturare mi saltano i nervi, allora meglio guardare e tenersi le cose nella testa e lavorare sul proprio linguaggio, sui termini e sulla giusta costruzione della frase per rendere le impressioni a parole. Se c'è qualcuno disposto ad ascoltare, vale sempre la pena esprimersi bene, accuratamente e senza aver paura di emozionarsi nel portare alla luce dei ricordi.

Vaneggio. Vi lascio alle foto, magari nei giorni seguenti riesco pure a mettere insieme due frasi sensate.

Non c'entra nulla ma... che figo è questo video? 



M.I.A, Born Free from ROMAIN-GAVRAS on Vimeo.












giovedì 25 ottobre 2012

Charin

Ho questo ricordo limpido di una giornata estiva caldissima. Intorno a me si estende il deserto per miglia e miglia e ogni tanto davanti alla macchina appaiono un serpente, un coyote o una marmotta. 
Io e mio padre non ci parliamo, perché il vento che entra dai finestrini abbassati è assordante. Poi quando ci sono così tante cose da guardare, parlare è dispersivo, inutile. 

Ho il vizio di fissare gli uomini negli occhi, potrei farlo per ore. Lo facevo con papà ed ero convinta che dietro la cornea crescessero dei girasoli. C'era questa pupilla nera e spaventosa e intorno infiniti petali che andavano a comporre l'iride. Chissà come sono adesso gli occhi di mio padre...

Il cielo è sfondato di azzurro e questo kazako folle seduto di fianco a papà sta indicando l'arrivo di un tornado da Est. Ma niente paura dice, non ci dovrebbe nemmeno sfiorare.

Non ho mai affrontato un viaggio così tanto lungo prima d'ora, non in macchina per lo meno. Ma non mi sono annoiata un attimo, perché il marrone è il mio colore preferito e il sole è ancora in grado di darmi sensazioni piacevoli. Diciamo che la previsione di una tempesta che dovrebbe coagulare il sangue bloccandone l'arrivo al cervello, c'è, ma io ancora non lo so. 

Non so ancora quanti temporali mi attendono all'orizzonte, né sospetto dell'esistenza dell'amore tra uomo e donna. Non so di essere io stessa frutto di un amore folle.

Finalmente giungiamo al limite davanti a questo varco spazio temporale incredibile, un burrone che si estende per chilometri, sembra un serpente inciso nella terra rossa come il sangue. Mi sento un parassita che sta per esplorare le vene proibite di un dio maledetto e temuto dagli uomini. Saremo dei piccoli globuli incanalati verso un'unica meta tumorale, un ritrovo di quelli come noi, diagnosticati come il male della terra. Siamo questo e io già lo so e mentre mi faccio questi viaggi, che all'età di sei anni non so descrivermi, mi rendo conto di essere da sola e in lacrime, bloccata lungo una discesa sabbiosa all'altezza di un centinaio di metri. Il sentiero non è ripido, ma sono troppo in alto e agli uomini non è dato vedere così tanto in una volta sola. Piango e chiamo papà, non so scendere. 

Mio padre, dopo aver fatto il suo dovere di uomo che ha ben pensato di estendere il suo ego creando, insieme a mia madre, un corpo completamente nuovo e cosciente, cioè io, si ritrova a portarsi appresso questo essere spaventato e biondiccio, sporco, affamato e lento. I figli sono un peso, un sacco di amore e soddisfazioni, ma fino ad una certa età sono limitati. Per mio padre non ho limiti e col senno di poi mi rendo conto delle infinite prove a cui mi ha sottoposto.
Mamma dice volevano un maschio. Ma lo realizzo solo ora, i keds, i jeans e le camice di flanella che hanno mascherato la mia femminilità fino alla fine, non sono mai stati un campanello di allarme. Sarebbe poi servito a qualcosa saperlo prima? Sono felice anche così.

Dopo svariati chilometri spalanco gli occhi alla vista di un fantasma blu, così cristallino ed indipendente da congelarmi sul posto. Deve essere il cuore, penso, deve essere il cuore del deserto. 
Un fiume che scorre all'infinito, di cui non puoi sapere l'origine, di cui non puoi prevedere la fine e così gelido da non permettere a nessuno di contaminarlo. Ringrazio la terra per aver protetto così bene una cosa tanto preziosa. Per avere questi privilegi bisogna lottare. Nella vita bisogna lottare e mi rendo conto proprio di questo nel momento in cui mi padre prende per il collo il kazako e lo affoga nell'acqua! Non riesco ancora a proferire parola e non capisco perché sangue del mio sangue stia facendo una cosa tanto violenta di fronte a un mondo così puro. Com'è possibile che un posto del genere susciti pensieri così cattivi? 
Ma mi ci vuole poco per individuare la radice del problema. Mi guardo intorno e vedo qualche cartaccia, una bottiglia di vodka e un'anguria spaccata. Credo che papà si sia incazzato per questo e nel frattempo il kazako, infreddolito ed annaspante, è diventato sobrio tutto d'un colpo.
Sono allibita, come può aver bevuto durante tutto il viaggio senza cadere poi dal burrone sfracellandosi la testa? Mi si disegnano nella testa piccoli pallini di terra umidiccia di sangue. Una pioggia kazaka super splatter polvere alla polvere cenere alla cenere. Non mi fa per niente ridere e ringrazio con gli occhi mio padre per averci evitato questo spettacolo nella previsione della via di ritorno.

A volte, oggi, a ventiquattro anni, certe cose così belle suscitano violenza anche in me. Quando vedo preservativi sotto gli alberi, bottiglie che galleggiano nei ruscelli di un tempo, radici fatte saltare per aria per affiancare la sauna ad una dacha, il sangue comincia a bollirmi surriscaldando la pelle, divento rovente e voglio uccidere. Presto non ci saranno più fiumi per i kazaki. Perché nessuno affoga i kazaki?

L'essere umano è uguale alla terra, in scala ridotta. Abbiamo il sangue, la pelle, le vene, il cuore, i polmoni. 
Perché mi rendo conto di questo a sei anni mentre un kazako di cinquanta sta sputando su anni di evoluzione?


Nel deserto ho capito due cose.
La prima è che i kazaki mi stanno sul cazzo, la seconda è che sono fiera di avere le mani sporche di terra, di una terra rossa e grumosa, piena di vermi, di ragni e di tutte le creature grazie alle quali probabilmente questo cazzo di mondo si regge in piedi.
Sono orgogliosa di essere nata in Kazakistan, sono orgogliosa delle mie origini e di quel poco che del nostro pianeta ancora rimane. E non mi azzarderò a insultare gli italiani, mai, non solo perché mi sento ancora ospite in questo paese, ma perché se muore l'Italia, probabilmente muore anche tutto il resto, perché siamo tutti di fronte ad un unico enorme burrone e non ci sarà alcun padre a prendersi cura di noi quando piangeremo da soli su un sentiero pericoloso ad un'altezza dimenticata persino da dio.


p.s. Nel mio bagno vive un ragno, l'ho chiamato Sisifo perché ogni volta cade nella vasca e nonostante tutte le fatiche non riesce ad uscire. E' bellissimo e spaventoso, ha veramente un aspetto agghiacciante, ma nella vasca sembra solo una creatura storpia e fuori luogo, indifesa e fragile. Sisifo, cazzo, qua la mano.

p.p.s. Martedì sarò in un altro continente, nel mio continente. Martedì sarò nel deserto.