domenica 2 dicembre 2012

Zona di conforto

Adoro stare qui nel cuore della notte, ascoltare il mio gatto russare e selezionare della buona musica.
Quando lo faccio e quando ci penso provo immenso piacere, proprio fisico.
Quando lo metto per iscritto realizzo sia una merda e che non interessi a nessuno. Non rendo noto questo mio pensiero nella patetica speranza che qualcuno dica "hey ma no, lo faccio anche io ed è uno sballo". Lo dico perché lo penso e perché a me, per prima, di cosa scrive la maggior parte della gente non interessa minimamente.
Però, come a ogni scrittore di qualche tipo, mi interessa se la gente legge quello che scrivo io.

Percorrevo le "10 ragioni per cui una sceneggiatura fa schifo", di Karina Wilson e riga dopo riga la mia stima cresceva per questa donna che legge dai quattrocento ai cinquecento manoscritti (per modo di dire) all'anno e ne scarta novantanove su cento. 
La stima è pressoché uguale a quella che provo per tutti coloro che dicono la verità, nella vita e nella politica (che scindo dalle esperienze di noi comuni mortali). 

Forse stiamo soffrendo nella vita, abbiamo subito abusi di ogni tipo da piccoli, la nostra dolce metà ci sta dando dell'egoista per sbatterci la porta in faccia nei seguenti cinque minuti della nostra esistenza, oppure stiamo vivendo un'esperienza extra corporea extra coniugale extra lusso. Non importa un cazzo a nessuno, perché in prima persona è tutto di più. E mi piace il fatto che qualcuno abbia il coraggio di dirlo. Non è solo questa Karina che probabilmente non ha problemi ad arrivare alla fine del mese, lo fanno in tanti e nei modi più incredibili. 
Avete mai fatto un giro su VICE? E' pieno di merda, ma è merda scritta bene, che piace, che appassiona o che disgusta, non importa, suscita interesse e tira fuori le nostre emozioni. Qualcuno rimane spesso e volentieri indignato, quando nel proprio intimo prova esattamente quelle cose, ha vissuto forse esperienze più imbarazzanti, ma non ha il coraggio di ammetterlo e di essere solidale, pur nella maniera comica, con gli altri.

Comunque.
Se si vuole scrivere, bisogna sapere romanzare, il che non significa dire una bugia, ma significa rendere la propria creazione esteticamente accettabile se non addirittura accattivante per i fruitori. Lasciamo perdere la scrittura. Dovete farlo anche se volete far ridere i vostri amici durante una cena. 

Non è solo questione di lasciare la propria zona di conforto, di allontanarsi da quello che si è e di affrontare i propri pensieri come se questi non vi appartenessero, non è inventare una storia fantastica e non è parlare di qualcuno che osserviamo da lontano, non è mettersi a nudo tirando fuori i pensieri più imbarazzanti che attanagliano in realtà la mente di tutti noi. Non è SOLO questo. Sapete cos'è? E' fare tutto ciò con stile. Il proprio stile.

Non scriverò mai una sceneggiatura, né mi interessa. Ma scrivo interviste e mi sono già rotta le palle della struttura che ho assunto. Diciamoci la verità. Le mie interviste funzionano e piacciono. Piacciono ai lettori e, soprattutto, piacciono agli intervistati.
Tutto questo è perché li prendo per mano e li porto a sedersi nella poltrona più comoda, do loro una tazza di cioccolata calda e quasi li chiedo di cosa vorrebbero parlare. Passo ore a guardarmi le loro foto prima di sapere cosa domandare, così da esaltarli, da chiedere le cose giuste e "comode".
Non sto dicendo che sto sbagliando, sto dicendo che mi sono adagiata sugli allori e sto continuando a fare una cosa che so per certo che funzioni, ma che non mi soddisfa più dal punto di vista artistico, o come essere umano che ha prospettive per la vita diverse da quelle che sembrano disegnarsi attualmente.

Fino a questo momento ho avuto paura di qualcosa, la vocina di John Shooter (sì, ho finito un altro libro di King e ne comincerò un altro benché sia mainstream, benché sia limitativo concentrarsi così a lungo su un autore solo) però prorompeva con fragore dal fondo dello stomaco, dicendomi di fare qualcosa di più, di abbandonare la mia zona di conforto, di rischiare tutto per la mia profana passione per la scrittura. E mi suggeriva, con più dolcezza e con una vena di furbizia nella voce, di farlo senza abbandonare il mio stile, se mai ne avessi uno.
Voglio crescere, migliorare, diventare scomoda per coloro che non siano disposti a rischiare qualcosa per la fotografia (finché di fotografia scriverò). Voglio che le mie domande non solo siano diverse da tutte quelle che i giornalisti solitamente pongono agli intervistati, ma che scavino anche un po' più a fondo. Non ho più paura di mettere a disagio, di provocare, di risultare inopportuna; non ho più paura di niente di tutto questo, perché se gli altri si dovessero spaventare vuol dire che la loro arte non è abbastanza solida e che forse dovrebbero lasciare spazio a chi ci sa fare.

Mal che vada posso sempre scappare nel deserto e dormire in fondo al burrone di fianco ad uno sciacallo, sotto vento.


Prima di concludere, lascio il link al mio ultimo articolo per GQ Italia. Ho avuto il piacere di intervistare nuovamente una modella. Una persona e una professionista molto, molto diversa da me e avrei voluto domandarle così tante cose... così tante e così imbarazzanti. E invece le ho portato le pantofole di fronte la poltrona :)
Sono soddisfatta, ma è ora di cambiare, di muoversi nuovamente e non avendo una situazione economica che mi permetta di farlo fisicamente, posso affidarmi ai miei mondi più che reali all'interno di queste creazioni pseudo giornalistiche.



qui intervista a Deborah Parcesepe

Ah, non mi occupo io dei titoli su GQ, né dell'introduzione. Forse dovrei! (Comincio da subito a mettermi in situazioni scomode).
Come se il fatto che Deborah amasse la scrittura o sapesse citare qualcosa che non fosse la strofa di Paparazzi di Lady Gaga, fosse un fatto eccezionale nel mondo della moda, quando in realtà di modelle più che in gamba ne è pieno là fuori, ma ai media piace raccontare di quella volta che un essere umano ha scazzato nella propria vita e ha avuto la pessima idea di provare a nascondere le prove della propria figura di merda.



























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